Pomero
2005-02-25 11:58:44 UTC
Un arsenale in casa di Arrigoni
Ritrovate centinaia di munizioni e materiale per fabbricare proiettili. Ieri
a Verona i funerali degli agenti uccisi
ERNESTO MILANESI
VERONA
Nel giorno dei funerali solenni degli agenti Cimarrusti e Turazza nella
basilica di San Zeno, viene passata al setaccio la vita di Andrea Arrigoni
che domenica notte ha trasformato un parcheggio alle porte di Verona in un
angolo di Far West. Il 36enne ex parà aveva un vero arsenale nell'ufficio da
investigatore privato: fra la sede della Mercury e la sua abitazione, gli
investigatori hanno sequestrato ieri un'altra pistola e pacchi di munizioni,
ma soprattutto ogive, polvere pirica e bossoli in quantità industriale.
Insomma, l'ex gorilla di Umberto Bossi poi approdato nel giro della
«sicurezza nazionale» targato Alleanza nazionale difficilmente è stato colto
da un raptus.
Al momento restano aperte tutte le ipotesi, anche quelle più diverse tra
loro, dalla premeditazione all'omicidio casuale, a riprova delle difficoltà
con cui in queste ore si procede in Questura. E se non sembra del tutto
escluso che Arrigoni e Galena Shafranek, 29 anni, si conoscessero, bene e da
tempo, da ieri sera gli inquirenti non escludono neanche la possibilità che
Arrigoni avesse incontrato la ragazza poco prima dell'omicidio, magari
mentre questa faceva l'autostop. Un'ipotesi, quest'ultima, avvalorata dal
fatto che dai tabulati del cellulare dell'uomo non risulterebbe alcuna
chiamata fatta verso il telefono della giovane ucraina. In entrambi casi,
comunque, sarebbe giustificato il ritrovamento della borsa con gli abiti da
«lavoro» della Shafranek nel bagagliaio della Panda.
Arrigoni - ufficialmente fidanzato con una 30enne veronese - sarebbe poi
stato riconosciuto da altre «lucciole». E si sarebbe fatto notare anche nei
locali notturni e nelle discoteche della zona.
Dietro la facciata della sicurezza e del culto ideologico padan-nazionale
spunta insomma l'anima nera del provinciale irretito in «giri» più grandi di
lui. Ogni congettura è degna di evidenza nella minuziosa indagine che sta
impegnando la polizia fra Bergamo e Verona.
Arrigoni domenica aveva lasciato a casa il cellulare, ma si era messo al
volante con la pistola in tasca anche se aveva il porto d'armi scaduto.
Oltre 200 chilometri di strada, nella notte, per raggiungere l'ucraina e
ucciderla nel parcheggio della concessionaria di caravan alle porte di
Verona. E poi esaurire il caricatore, ammazzando i due poliziotti che
l'avevano scoperto. Fino a restare cadavere sull'asfalto.
L'ex volontario in Somalia non nuotava certo nell'oro: anzi, aveva problemi
di soldi. Ma con la copertura del lavoro era in grado di affacciarsi nel
mondo delle notti brave. Si tratta di illuminare il profilo di Arrigoni
nella versione «notturna», senza dimenticare i collegamenti con il
sottobosco della politica.
Intanto, i magistrati azzerano ogni ricostruzione diversa. A partire da
quella che voleva un quarto uomo sul luogo della strage. I bossoli indicano
chiaramente che hanno sparato solo tre armi ribadisce il pubblico ministero
Fabrizio Celenza, mentre il procuratore capo Guido Papalia dichiara che «non
c'è alcun elemento valido che porti in direzioni diverse dalla ricostruzione
emersa». Così resta solo l'insistenza di Gianfranco Ceci, avvocato della
famiglia Arrigoni, impegnato a difendere l'onorabilità dell'investigatore
bergamasco. E sarà solo il verdetto degli esami balistici a fugare ogni
dubbio. La famiglia ha incaricato Pietro Benedetti, lo stesso perito
dell'omicidio di Marta Russo, mentre la Procura si è affidata ad Alfredo
Luzzi, dirigente della Sezione indagini balistiche della Scientifica di
Roma.
Ieri mattina, tutta Verona si è fermata per i funerali di stato dei due
agenti cui hanno preso parte anche il presidente della camera Casini ed il
ministro degli interni Pisanu. Un lungo applauso ha accompagnato le due bare
avvolte nel tricolore, mentre dal pulpito il vescovo Flavio Roberto Carraro
ha tuonato contro la prostituzione. «Questi due ragazzi sono morti per noi,
per questa nostra Verona, per l'Italia, durante un servizio teso a ripulire
dall'infamia le vie della prostituzione, umiliante e vergognosa realtà del
nostro vivere».
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/24-Febbraio-2005/art72.html
Ritrovate centinaia di munizioni e materiale per fabbricare proiettili. Ieri
a Verona i funerali degli agenti uccisi
ERNESTO MILANESI
VERONA
Nel giorno dei funerali solenni degli agenti Cimarrusti e Turazza nella
basilica di San Zeno, viene passata al setaccio la vita di Andrea Arrigoni
che domenica notte ha trasformato un parcheggio alle porte di Verona in un
angolo di Far West. Il 36enne ex parà aveva un vero arsenale nell'ufficio da
investigatore privato: fra la sede della Mercury e la sua abitazione, gli
investigatori hanno sequestrato ieri un'altra pistola e pacchi di munizioni,
ma soprattutto ogive, polvere pirica e bossoli in quantità industriale.
Insomma, l'ex gorilla di Umberto Bossi poi approdato nel giro della
«sicurezza nazionale» targato Alleanza nazionale difficilmente è stato colto
da un raptus.
Al momento restano aperte tutte le ipotesi, anche quelle più diverse tra
loro, dalla premeditazione all'omicidio casuale, a riprova delle difficoltà
con cui in queste ore si procede in Questura. E se non sembra del tutto
escluso che Arrigoni e Galena Shafranek, 29 anni, si conoscessero, bene e da
tempo, da ieri sera gli inquirenti non escludono neanche la possibilità che
Arrigoni avesse incontrato la ragazza poco prima dell'omicidio, magari
mentre questa faceva l'autostop. Un'ipotesi, quest'ultima, avvalorata dal
fatto che dai tabulati del cellulare dell'uomo non risulterebbe alcuna
chiamata fatta verso il telefono della giovane ucraina. In entrambi casi,
comunque, sarebbe giustificato il ritrovamento della borsa con gli abiti da
«lavoro» della Shafranek nel bagagliaio della Panda.
Arrigoni - ufficialmente fidanzato con una 30enne veronese - sarebbe poi
stato riconosciuto da altre «lucciole». E si sarebbe fatto notare anche nei
locali notturni e nelle discoteche della zona.
Dietro la facciata della sicurezza e del culto ideologico padan-nazionale
spunta insomma l'anima nera del provinciale irretito in «giri» più grandi di
lui. Ogni congettura è degna di evidenza nella minuziosa indagine che sta
impegnando la polizia fra Bergamo e Verona.
Arrigoni domenica aveva lasciato a casa il cellulare, ma si era messo al
volante con la pistola in tasca anche se aveva il porto d'armi scaduto.
Oltre 200 chilometri di strada, nella notte, per raggiungere l'ucraina e
ucciderla nel parcheggio della concessionaria di caravan alle porte di
Verona. E poi esaurire il caricatore, ammazzando i due poliziotti che
l'avevano scoperto. Fino a restare cadavere sull'asfalto.
L'ex volontario in Somalia non nuotava certo nell'oro: anzi, aveva problemi
di soldi. Ma con la copertura del lavoro era in grado di affacciarsi nel
mondo delle notti brave. Si tratta di illuminare il profilo di Arrigoni
nella versione «notturna», senza dimenticare i collegamenti con il
sottobosco della politica.
Intanto, i magistrati azzerano ogni ricostruzione diversa. A partire da
quella che voleva un quarto uomo sul luogo della strage. I bossoli indicano
chiaramente che hanno sparato solo tre armi ribadisce il pubblico ministero
Fabrizio Celenza, mentre il procuratore capo Guido Papalia dichiara che «non
c'è alcun elemento valido che porti in direzioni diverse dalla ricostruzione
emersa». Così resta solo l'insistenza di Gianfranco Ceci, avvocato della
famiglia Arrigoni, impegnato a difendere l'onorabilità dell'investigatore
bergamasco. E sarà solo il verdetto degli esami balistici a fugare ogni
dubbio. La famiglia ha incaricato Pietro Benedetti, lo stesso perito
dell'omicidio di Marta Russo, mentre la Procura si è affidata ad Alfredo
Luzzi, dirigente della Sezione indagini balistiche della Scientifica di
Roma.
Ieri mattina, tutta Verona si è fermata per i funerali di stato dei due
agenti cui hanno preso parte anche il presidente della camera Casini ed il
ministro degli interni Pisanu. Un lungo applauso ha accompagnato le due bare
avvolte nel tricolore, mentre dal pulpito il vescovo Flavio Roberto Carraro
ha tuonato contro la prostituzione. «Questi due ragazzi sono morti per noi,
per questa nostra Verona, per l'Italia, durante un servizio teso a ripulire
dall'infamia le vie della prostituzione, umiliante e vergognosa realtà del
nostro vivere».
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/24-Febbraio-2005/art72.html